Benvenuti nel sito di culturaromanoitaliana.com ! Inizieremo con qualche cenno programmatico. La nostra intenzione è di illustrare ed approfondire le relazioni intercorrenti tra la cultura dell'antica Roma e quella italiana, nonché di evidenziare le influenze che la cultura italiana ha avuto su quella europea. Temi del blog saranno essenzialmente tre: storia del diritto e diritto romano, italianistica e il pensiero della Destra, cui è demandato, insieme agli organi istituzionali, il compito di diffondere e difendere il tesoro di conoscenze, storia e arte che caratterizza l'Italia. Ciò faremo nel rispetto il più possibile rigoroso dei fatti e dell'oggettività, atteggiamento che, del resto, è tipico della Destra di tutti i Paesi. La Destra, infatti, non è né una filosofia, né una ideologia e nemmeno è religiosa, perché interpreta il pensiero e la coscienza del popolo, notoriamente alieni da astruserie e pedanterie. Essa si propone come una forma di conoscenza concorrente/alternativa rispetto alla scienza esatta, sorta con la civiltà, anche se il suo libero spirito critico le impedisce di esaltare lo stato di natura, per l'uomo severo e doloroso.
Secondo la Destra, questo stato è solo il male minore per l'umanità, che più progredisce in tecnologia e cognizioni scientifiche, più sembra dibattersi in contraddizioni vieppiù insanabili e pericolose per la sua stessa sopravvivenza. Alla fine, fatta piazza pulita di ogni illusione, e fermo restando che l'uomo non si auto-distrugga, pare certo un suo ritorno alla natura, secondo una concezione ciclica già propria della cultura classica e, nei tempi moderni, intuita dal filosofo italiano Giambattista Vico. La Destra dice infatti che l'esistenza è sofferenza, e lo è tanto più nelle società cosiddette civili. Alla fine si capisce che la condizione migliore per l'uomo è il non-essere. Gli uomini di Destra sono uomini comuni, uomini del popolo, che, senza loro colpa, si trovano invischiati in situazioni esistenziali aggrovigliate, di cui devono trovare il bandolo per uscirne; essi hanno la fissazione per l'identità personale e collettiva. Ma, essendo umanisti, hanno buon senso, ed è così che amano la vita e non la morte. Il requisito per essere di Destra, in Italia, è di avere tre anime (un po' come diceva di sé stesso il poeta latino Quinto Ennio, di possedere tria corda, messapico, greco e romano): una celtica, una romana e una greca. In questo modo, si è come la "sintesi" di tutto il Paese, e si è in grado quindi di dominarne la complessità, e di percepire il valore della comunità nazionale. Naturalmente, nulla impedisce che il sentimento nazionale possa germogliare anche in altri contesti. Il fatto è che l'Italia è una potenza culturale assolutamente unica: essa non è mai stata, nell'Evo moderno, una potenza politica e militare e, se le sue contrade sono disseminate di cadenti ma illustri rovine, ciò sta a significare che la sua vera forza sta nella memoria del passato, indispensabile per capire non solo il presente, ma anche il futuro, in una specie di continuum spazio-temporale. Oggi si fronteggiano i "giganti" nucleari e impazza l'informatizzazione, ma l'Italia è la culla della cultura umanistica, che studia i moti dell'animo umano, la comprensione dei quali è fondamentale per capire la realtà della vita. Certo, l'Italia deve modernizzarsi per stare al passo coi tempi, ma sia ben chiaro che la vera cultura è quella umanistica e non quella scientifica, tanto meno l'informatica, anche se questa sembra destinata a grandi ed imprevedibili sviluppi. L'informatica si presenta come una interessante interazione di diritto, economia, sociologia, tecnologia e scienze esatte: insomma è un compendio del sapere umano, con finalità che vanno oltre la sfera dell'umano (transumanizzazione). Il pericolo è che non si riesca a gestire avvedutamente questa tecnologia, con ricadute negative sulla tenuta delle concezioni democratiche ed umanistiche, e il conseguente avvento di un totalitarismo globale. Quello che le classi politiche italiane non hanno mai capito, è che l'Italia ha una duplice vocazione: neutralità e socialdemocrazia. La prima perché la stessa posizione geografica della Penisola, al centro del mondo, la rende equidistante dall'Ovest come dall'Est, dal nord come dal sud. La seconda perché la sua stessa struttura sociale porta come inevitabile conseguenza la cooperazione tra le classi sociali e il nord sviluppato ed il sud relativamente "sotto-sviluppato". La democrazia comporta la partecipazione di un vasto pubblico: in essa possono esistere componenti liberiste, ma giammai democrazia e liberismo possono identificarsi, perché questo è una ideologia che torna comoda solo a pochi. A causa della frammentazione politica e sociale, per lunghi secoli è mancata all' Italia una concezione coerentemente democratica dei rapporti sociali e ancora oggi si ripropone la medesima situazione. Ecco il motivo per il quale l'Italia è un Paese a "sovranità debole": poco spirito democratico e poca coscienza unitaria, cui si aggiunge una spesso immotivata esterofilia. Sono tutti temi che affronteremo.
I Romani possedevano una visione organicistica delle società, per la quale tutto ciò che nasce è destinato a perire, compresi gli Stati. Visione espressa dal famoso apologo di Menenio Agrippa, il patrizio incaricato di scendere a patti con la plebe rivoltosa, e di cui si trovano tracce in ciò che è rimasto negli scritti dei giuristi romani, come Papirio Frontone, con la sua dottrina sul peculium , che nasce, cresce e si estingue o nei retori, come Floro, negli scritti del quale è ben illustrata questa concezione. D'altra parte, la stessa nascita di Roma, avvenuta con un fratricidio, è avvolta da questo alone di fatalità, forse ereditato dagli Etruschi. Si narra, infatti, che Romolo, il primo re di Roma, osservò il volo di dodici avvoltoi e da ciò si trasse la profezia che il nomen romanum, ovvero il patrimonio materiale e spirituale della Romanità, sarebbe durato dodici secoli, profezia che si è dimostrata complessivamente veritiera. Noi non crediamo che con il Cristianesimo cattolico sia nato un nuovo ciclo nella vita della "Città eterna", ma che, al contrario, il suo ciclo vitale si sia esaurito, con l'estinguersi dell' energia di propagazione ed assimilazione di genti straniere. Naturalmente, Roma è sopravvissuta come centro urbano, diventando la Capitale d'Italia, mentre la Chiesa rappresenta solo l'atto finale ed infausto della storia di Roma antica. D'altronde, anche in fisica, sembra dominare la visione organicistica, per la quale l'Universo è paragonato ad un immenso organismo vivente, destinato un giorno a perire, esaurendo l'energia. Ma si badi che Roma, conquistando il suo vasto Impero, ha reso possibile il sorgere di nuovi cicli soprattutto nell'Europa continentale, fecondando con la sua cultura Paesi come la Spagna, la Francia, la Germania e l'Inghilterra, Paesi che hanno imparato moltissimo dalla civiltà romana, sia pure sviluppando una loro originalità. In particolare, l'Inghilterra si presenta come una poderosa sintesi del mondo germanico, non priva di cospicui apporti latini. Anche nel Medio Oriente, con la fondazione di Costantinopoli nel 330 d.C., è nato un nuovo ciclo destinato ad estinguersi un millennio dopo, con la conquista della "Nuova Roma" da parte dei Turchi di Maometto II, nel 1453. Altro discorso si deve fare per il nord Africa, sommerso dai Musulmani quasi subito dopo l'anno cruciale del 612 d.C., mentre ancora erano in vita le scuole di retorica latine. E, invero, tracciare con precisione, in una data, ( convenzionalmente si indica il 476 d.C.) la fine del mondo antico, è impresa ardua. Così come Roma non nacque in un sol giorno ( 21 aprile 753 a.C.), così essa venne meno gradualmente e quasi impercettibilmente, lasciando però ai popoli europei una eredità destinata a un grande futuro. L'idea dell'impero, come giustamente rileva Hannah Arendt, sopravvisse a lungo in Occidente, influenzando più o meno direttamente uomini di Stato e politici, come Carlo Magno, Napoleone e, purtroppo, Mussolini. Anche gli Stati Uniti ne risentono, e comunque sono impregnati di classicità romana. Roma fu un piccolo-grande mondo: piccolo perché il nucleo centrale della sua civiltà è costituito da concezioni giuridico-filosofiche maturate in un ambiente socio-politico ristretto, dato dalla fusione di piccoli gruppi di diversa etnia; grande, perché essa ebbe la capacità di estenderle ad un'area geografica notevolmente vasta. A proposito di diritto, indagheremo sui sorprendenti rapporti fra ius e fas, oggetto di interminabili dispute nella dottrina romanistica e giuridica in generale, che forse nascondono una verità ancora tutta da scoprire. Siamo convinti che la giurisprudenza romana abbia molte cose da dire a noi moderni, cose che vanno oltre la comune percezione del diritto romano come primo sistema di pianificazione formalizzata dei rapporti sociali. Con tutta probabilità lo ius è il più possente concetto mai creato da mente umana. E vorremmo anche dire che questo ius, il cui significato è apparso e tuttora appare indefinito e sfuggente, non è altro che la totalità della realtà umana, divina e naturale, così come si manifesta all'occhio dell'osservatore umano.
A questo punto potremmo chiederci perché l'Istituzione imperiale è collassata in Occidente e non in Oriente, domanda che sorge spontanea. A nostro avviso, il motivo principale sta nella più massiccia e antica struttura urbana dell'Oriente nei confronti dell'Occidente, dove l'unica grande metropoli era Roma. La pars orientis dell'Impero poteva contare su città quali Alessandria, Antiochia e Costantinopoli, che costituivano un asse fondamentale per l'unità della compagine imperiale. Scarsa, invece, l'urbanizzazione in Occidente, con pochi centri troppo lontani fra loro per interagire efficacemente. La storiografia contemporanea, invece, tende a ridimensionare il ruolo giocato dai Barbari nella caduta dell'Impero, e, invero, a noi pare che causa ben più grande di questa caduta sia da ravvisare nelle spietate guerre civili in cui si scontravano gli eserciti romani, a partire dal 235 d.C., data della morte di Alessandro Severo. E' d'uopo ricordare che fin da Settimio Severo, Imperatore dal 197 al 211 d.C., l'esercito aveva subito un primo inizio di imbarbarimento, tendenza che proseguì in seguito con grandi ripercussioni sulla disciplina militare. Lo stesso Settimio Severo impose a Roma la presenza della Legione I Partica, segno che l'Italia veniva gradualmente equiparata alle province. Non solo: egli esautorò gli Italici dal servizio presso la Corte pretoriana, sorta di guardia del corpo dell'Imperatore. Ma riprendiamo il discorso sulla ciclicità degli organismi politici. A questa visione, si contrappone la concezione lineare del tempo, tipica dell'ebraismo. Gli ebrei hanno sempre cercato di mantenersi al di fuori dei "sistemi di cose" creati dalle genti delle Nazioni, nella speranza di ereditare come "giusti" una terra rinnovata e trasfigurata, dopo che, secondo la profezia biblica, le nazioni sorgeranno l'una contro l'altra causando immani tribolazioni. La storia dunque approderà al suo fine ultimo e sarà un ebreo a guidare i sopravvissuti. Questo, almeno, è ciò che si evince dalla Bibbia.
E l'Italia ? Creatura privilegiata dei Romani (Saturnia Tellus), e più di altri Paesi impregnata di civiltà classica greco-romana, con il crollo dell'Autorità centrale imperiale, ritornò al suo vecchio regionalismo (e sub-regionalismo), alla frammentazione culturale e politica tipica dell'età preromana, cosa che impedì per lunghi secoli la sua unificazione. Furono secoli di umiliazioni, conquiste straniere e servaggio, tanto da ispirare la nota invettiva dantesca. Per di più, l'Italia, avvilita dal soffocante conformismo cattolico, ebbe presumibilmente a pagare il più alto prezzo in vite umane a causa della repressione poliziesca dell'Inquisizione. Ciò non impedì il sorgere di una splendida cultura nell'età dell'Umanesimo e del Rinascimento, la rivoluzione in campo musicale dell'Opera, e, in campo scientifico, dello sperimentalismo galileiano. Vedremo in seguito che, nonostante tutto, l'Italia ha saputo dimostrare una straordinaria vitalità spirituale, vitalità oggi messa in pericolo dal livellamento causato dalla cultura di massa internazionale. Una americanizzazione sempre più invasiva avvilisce e sembra mettere in pericolo la nobile identità di questo Paese, riducendolo a mero satellite non solo politico ma anche culturale. A ciò si aggiunge una perniciosa crisi demografica, causata dall'accentramento del potere e della ricchezza in poche mani, fenomeno destinato ad acuirsi col passare del tempo. Ciò significa la perdita del lavoro da parte di tante persone con il conseguente spopolamento. In altre parole, non è il benessere che causa la crisi demografica ma il sempre più diffuso malessere sociale. Paese notoriamente poco commerciale (le grandi rotte del commercio passano per il nord-Atlantico), l'Italia possiede una notevole vitalità economica grazie al grande numero di piccole e medie aziende, situate soprattutto nel centro-nord. Nulla a che vedere con le corporation americane, che spadroneggiano indisturbate nel mondo mirando a fagocitare le economie più piccole e perciò più fragili. Ma, ritornando al discorso storico-culturale, Il nostro intento è gettare un ponte tra il passato e il futuro dell'Italia, dimostrando in primo luogo la romanità del Tricolore, nel segno di una ininterrotta tradizione millenaria. Indagheremo anche se, fin dall'antichità romana, sia emerso un concetto politico e giuridico dell'Italia.
Aggiungiamo che l'Italia ha funto da tratto d'unione tra le civiltà dell'Evo antico (Grecia, Egitto, Mesopotamia ecc.) e quelle dell'Evo moderno, che, attraverso la conquista romana, hanno potuto assimilare cognizioni importantissime per la costruzione della propria identità nazionale. Sarà questo il punto debole dell'Italia? Questo costante rivolgersi al passato ? Noi crediamo che questo Paese, nonostante le sue contraddizioni e difetti, continuerà a svolgere nel panorama internazionale un ruolo insostituibile. Indubbiamente l'Italia è un Paese "vecchio", le sue glorie sembrano appartenere al passato e questo risulta evidente se la paragoniamo agli Stati Uniti, con i suoi duecento anni di storia, o con le nazioni europee, (eccetto la Grecia), che contano solo un millennio circa. Per questo auspichiamo che i governi italiani a venire, proseguendo nel processo di modernizzazione, mettano anche in atto misure oculatamente anti-liberiste, volte a salvaguardare il patrimonio materiale e spirituale dell'italianità. L'Italia ha dato moltissimo al mondo in termini di cultura, ma oggi rischia immeritatamente di diventare solo un Paese da cartolina.
I segni di questo fenomeno sono evidenti a chi voglia prestarvi attenzione. L'Italia sembra vivere all'ombra del gigante americano e non pochi linguisti paventano la nascita di un "italinglese", cioè di una lingua ibrida mista di termini italiani ed inglesi. Per parte nostra, deprechiamo la passività acritica con cui il governo, l'opinione pubblica ed i canali di informazione di massa italiani recepiscono le novità provenienti dal mondo anglosassone, incapaci di elaborare una valida alternativa, con l'affermare la specificità incomparabile della lingua e della cultura italiane. Ricordiamo anche che il patriottismo degli italiani sembra limitato solo in due campi: la cucina ed il tifo sportivo. Del resto, Inglesi ed Americani sono ormai abituati a questo andazzo, considerando ormai l'Italia come un Paese minore ,di periferia, prono al loro volere. La sfida è dunque quella di valorizzare le ricchezze passate e presenti del nostro Paese, riconoscendogli il prestigio che merita.